L’analisi dell’USB Global Real Estate Bubble Index 2020.
Bentornati sul nostro blog, che anche oggi vi aggiorna sulle ultime novità riguardanti il mercato immobiliare. Stavolta parliamo dell’UBS Global Real Estate Bubble Index, che ogni anno analizza i prezzi degli immobili residenziali in venticinque città del mondo, con l’obiettivo di scoprire quelle che corrono il maggior rischio di bolla immobiliare. Per chi non lo sapesse, questo fenomeno indica un rapido aumento dei prezzi immobiliari, che diventano insostenibili rispetto a parametri economici come i redditi medi. Ne parliamo perché i mercati immobiliari sembrano aver resistito bene all’emergenza Covid-19 e, in molti casi, c’è stata un’accelerazione della crescita dei prezzi delle abitazioni.
In ogni caso, stando al report, la pandemia sta facendo riconsiderare dove vivere: l’incremento dello smart working e la pressione sui redditi delle famiglie rendono la vita in periferia un’alternativa interessante rispetto a quella negli appartamenti delle città, tutt’altro che accessibili. Ma come capire quali sono le città a rischio bolla immobiliare? L’UBS Global Real Estate Bubble Index 2020 analizza la divergenza tra i redditi, i ricavati degli affitti e gli squilibri presenti nell’economia reale, come ad esempio prestiti eccessivi e attività di costruzione. Il risultato di questa analisi mostra un mercato con oltre la metà delle città a rischio bolla, o comunque con un mercato sopravvalutato.
In testa alla classifica ci sono Monaco e Francoforte, che negli ultimi quattro trimestri hanno registrato un aumento dei prezzi delle case superiore al 5%. Corrono il rischio di bolle immobiliari anche Parigi, Amsterdam e Zurigo, mentre diverse città sono considerate sopravvalutate: tra queste Tokyo, Los Angeles, Stoccolma, Ginevra, San Francisco, Tel Aviv, Israele, Sydney, Mosca, New York, Vancouver e Londra. Qui, in particolare, i problemi di accessibilità economica, l’incertezza politica e un contesto fiscale e normativo più severo fanno sì che ci sia una pressione ulteriore sui prezzi delle abitazioni.
E per quanto riguarda l’Italia? L’indice prende in considerazione il caso di Milano, dove nonostante gli effetti della pandemia specialmente nella prima metà del 2020, il mercato immobiliare “continua a essere molto resiliente e abbiamo assistito addirittura a un aumento dei prezzi dell’1,5% nel corso degli ultimi quattro trimestri”. Sono le parole di Paolo Federici, Market Head di UBS Global Wealth Management in Italia. Federici evidenzia come il telelavoro in aumento e l’impatto del Covid-19 sul turismo e sui grandi eventi abbiano avuto effetti negativi sul centro città, spingendo la domanda verso zone semi centrali. D’altro canto, però, la richiesta di abitazioni nell’area metropolitana potrebbe continuare, a patto che la ripresa economica in corso a Milano non rallenti. Inoltre, sempre secondo Federici, la ripresa del settore immobiliare nel medio termine dovrebbe essere sostenuta dalla crescita demografica positiva, dalle condizioni di finanziamento interessanti e dal rapporto favorevole tra il costo degli immobili e i redditi dei residenti.
Tra le città dove i valori delle case sono diminuiti ci sono invece Madrid, San Francisco, Dubai, e Hong Kong. Ma al di là di questi casi, come si spiega l’incremento dei prezzi immobiliari a fronte di una recessione globale? Lo studio mette sul tavolo tre risposte: in primo luogo, i prezzi delle case rappresentano un indicatore economico retrospettivo, riflettendo una recessione economica soltanto con un certo ritardo. Secondariamente, buona parte dei potenziali acquirenti di immobili non ha subito perdite dirette di reddito nel primo semestre di quest’anno. Infine, durante il lockdown in molte città i governi hanno aiutato i proprietari, sia aumentando i sussidi per l’edilizia abitativa che riducendo le tasse e sospendendo le procedure di pignoramento.
Mark Haefele, Chief Investment Officer di UBS Global Wealth Management, sottolinea che “rimane incerta l’influenza che l’aumento della disoccupazione e le fosche prospettive di reddito delle famiglie avranno sui prezzi degli immobili”. In ogni caso, secondo Haefele appare chiaro che questa accelerazione dei prezzi non sia sostenibile nel breve periodo. Nella maggior parte delle città le locazioni sono già diminuite, a riprova del fatto che quasi certamente “emergerà una fase di correzione quando i sussidi verranno meno e la pressione sui redditi aumenterà”.
Come abbiamo accennato, con l’incremento del telelavoro viene meno la necessità di vivere accanto ai centri urbani. E la pressione sui redditi delle famiglie ha come conseguenza il trasferimento di molte persone in zone suburbane più accessibili. Senza contare che le città già indebitate o più deboli dal punto di vista economico dovranno necessariamente affrontare questa crisi con aumenti delle tasse o con tagli alla spesa pubblica, due fattori che non sono di buon auspicio per i prezzi degli immobili. Considerati nel loro insieme, entrambi rendono probabili alcuni effetti negativi a lungo termine sulla domanda di alloggi urbani.