Il mercato immobiliare non risponde alle esigenze degli studenti.
Benvenuti sul nostro blog, che ogni settimana vi aggiorna puntualmente sullo stato del settore immobiliare italiano e internazionale. Questa volta parliamo di una tipologia di clienti peculiare, i giovani che per motivi di studio devono trasferirsi nelle grandi città come Milano, Roma, Torino e Bologna. Un target che potrebbe sembrare residuale all’interno del mercato immobiliare, ma che al contrario come vedremo è sempre più rilevante, aumentando il numero dei ragazzi che si iscrivono presso le facoltà universitarie italiane nella speranza di trovare un lavoro qualificato.
Stando ai dati del 2018, le università del Paese nell’arco di tre anni hanno avuto 35mila iscritti in più rispetto al periodo precedente, con un aumento del 2,4% sul totale. Ma se gli atenei del Nord-Ovest hanno avuto un incremento del 2,6% e quelli del Sud del 3,5%, in quelli del Nord-Est l’aumento è stato addirittura del 6,8%. Una differenza dovuta proprio ai fuori-sede, che rappresentano un terzo degli studenti universitari. Si pensi che nell’anno accademico 2013-2014 questi ultimi erano il 24,7% del totale, mentre dopo pochi anni, nel 2018, sono diventati il 27,4%. E la percentuale arriva circa al 36% considerando soltanto gli studenti di lauree magistrali.
Ma quali sono le regioni con il maggior numero di fuori-sede? Naturalmente, quelle con i grandi atenei: in Lombardia questi studenti sono il 19%, in Emilia Romagna il 17% e nel Lazio il 15%. Nell’ordine, l’Alma Mater di Bologna accoglie il 4,59% dei fuori-sede, la Sapienza di Roma il 2,43% e il Politecnico di Milano il 2,22%. Di fronte a questo flusso migratorio le soluzioni immobiliari scarseggiano, con un conseguente aumento del prezzo degli affitti.
Rispetto allo scorso anno gli operatori del settore immobiliare segnalano un rincaro sui canoni d’affitto che va dal +3% al +6%. Gli incrementi maggiori sono quelli di Torino e Firenze, con il +25% e il +12%. Seguono Bologna con il +8,7%, Roma con il +6% e Ferrara con il +5,5%. Secondo Solo Affitti, il franchising specializzato negli affitti immobiliari, si tratta del quarto anno di seguito con il canone di locazione in risalita. E il presidente del network Silvia Spronelli prevede che nell’arco di un paio di anni i canoni d’affitto potrebbero addirittura superare i livelli del 2009, anno in cui è iniziata la crisi. L’incremento della domanda sarebbe dovuto a una diversa conformazione sociale che vede una società sempre più liquida, con l’aumento delle giovani coppie conviventi, dei divorzi, delle separazioni e della mobilità lavorativa, con trasferte di medio-lungo periodo verso le principali città.
Quali sono i prezzi delle stanze nelle principali città? Se in media a Padova una stanza singola costa 335 euro, a Bologna il prezzo sale a 350 euro, a Torino e a Firenze il costo è di 360 euro e a Roma i fuori-sede spendono 400 euro. Milano è il mercato immobiliare con gli affitti più cari, con una media di 600 euro per una singola. Se il capoluogo lombardo non è tra le città ad aver registrato una crescita sostanziale dei prezzi è perché qui gli affitti non si sono mai abbassati nonostante la crisi. Milano è anche tra le città più care d’Europa, raggiungendo quasi i livelli di Berlino e Bruxelles, dove una stanza costa rispettivamente 530 e 570 euro.
Ma se la domanda aumenta, l’offerta diminuisce. Tra le cause principali c’è la diffusione degli affitti temporanei mediante piattaforme immobiliari come Airbnb: molti proprietari preferiscono destinare le stanze o gli appartamenti al mercato del turismo, affittandoli in maniera occasionale o per brevi periodi. In questo modo hanno più libertà e, anche se i guadagni non sono costanti, in linea di massima sono molto più alti. Un’indagine dell’Università di Siena rileva che ad agosto del 2018 gli alloggi disponibili su Airbnb erano oltre 397mila, ossia quasi il 51% in più rispetto al 2016. Perciò, per gli studenti o i lavoratori fuori-sede restano meno alloggi, proprio quando la domanda diventa sempre più pressante. La conseguenza inevitabile è una corsa al rincaro.
Un altro motivo per cui i fuori-sede non possono permettersi un alloggio è il deficit cronico delle contromisure che dovrebbero arrivare dalle istituzioni: le borse di studio che potrebbero sopperire al problema del caro affitti sono insufficienti, senza contare che spesso i fondi sono stanziati con mesi di ritardo. Secondo l’associazione studentesca Link, il fondo del diritto allo studio che dal 2017 è stato portato da 216 a 246 milioni è ancora inadeguato per coprire tutte le borse di studio degli aventi diritto. Nel Sud, con la Sicilia in testa, la situazione è particolarmente preoccupante: se gli studenti palermitani aspettano anche un anno per ottenere una borsa di studio, a Catania e a Messina la copertura è solo del 40%. L’importo medio di una borsa di studio è di 3mila euro annuali e di 5mila euro per i fuori-sede. Ma se una stanza costa oltre 500 euro al mese, lo studente potrà usare la borsa di studio esclusivamente per l’affitto, non potendosi permettere altre spese.
Una soluzione all’emergenza abitativa dei fuori-sede potrebbero essere gli studentati, ma purtroppo su questo fronte il nostro Paese è indietro con gli investimenti immobiliari rispetto ad altri. Ad esempio a Bologna, dove come abbiamo visto Alma Mater è il secondo ateneo per affluenza in Italia, l’assessore all’emergenza abitativa Virginia Gieri afferma che “non è sostenibile al momento pensare anche a reperire alloggi per gli studenti”. Secondo un report dell’operatore immobiliare JLL, solo il 2% degli studenti italiani vive all’interno di uno studentato, contro il 19% della media europea. Si pensi che nel Regno Unito si investono circa 5,4 miliardi l’anno nel settore degli alloggi universitari, in Svizzera 260 milioni e in Austria ben 391 milioni. Da noi invece negli ultimi dieci anni l’aumento dei posti letto per gli universitari è salito soltanto del 4%, attestandosi sui 49.500.
Il coordinatore nazionale di Link Alessio Bottalico dichiara che, oltre a non esserci politiche pubbliche per agevolare gli studenti universitari, “le case proposte sono spesso fatiscenti e i contratti sono inadeguati rispetto alle rispettive esigenze”. Secondo il sindacato universitario il problema degli studentati va risolto nel più breve tempo possibile, con un aumento della residenzialità pubblica e adeguando gli alloggi universitari al numero degli studenti che hanno diritto a un’abitazione, mediante la costruzione di nuove strutture e la conversione degli immobili in disuso.
La precarietà della situazione abitativa, oltre a rappresentare un grave problema materiale, scoraggia gli studenti e ne abbassa il rendimento. Chi è in dubbio sul continuare o meno gli studi viene ulteriormente dissuaso nel perseverare: è facile perdere le speranze con la prospettiva di una ricerca che può durare diversi mesi e che nel frattempo obbliga a ripiegare sul divano di un amico, oppure a spendere migliaia di euro su Airbnb per vivere in quegli immobili che potrebbero essere alloggi perfetti. E mentre chi ha le possibilità economiche si impegna in master e corsi di perfezionamento dalle rette vertiginose, molti non hanno abbastanza soldi per accedervi, non avendo l’opportunità di pagarsi neanche una stanza. In breve, il vero ostacolo per l’accesso al mondo universitario non è tanto il test d’ingresso, quanto la ricerca di un posto dignitoso dove vivere.